Platone e la scienza del management

Platone management caverna

Di ritorno da Londra alla fine del 2009, mi trovai catapultato nel favoloso mondo dell’imprenditoria giovanile italiana, da dove ho iniziato a prendere spunto per la seguente riflessione: è inutile cercare di spiegare cose a persone che non sono in grado di apprezzarne il significato. Che è come dire: se parli in italiano a un tedesco, che non conosce la lingua, butti via tempo.

Butti via tempo perché non è possible che la persona che ti ascolta possa capire qualcosa e quindi beneficiare di ciò che stai dicendo. Seppure i contenuti che tu veicoli in francese siano altamente rilevanti per la persona che ti ascolta, ma rassegnati che questa persona non capirà ciò che stai dicendo.

Ho fatto questo esempio molto semplice e solo parzialmente calzante per provare a rendere l’idea di come a volte non sia semplicemente possibile spiegare certi concetti a certa gente.

Ma dato che io non ho particolare autorevolezza su certe questioni, ho pensato di provare ad applicare il mito della caverna di Platone alle mie esperienze manageriali e – in particolare – alle differenze tra la teoria e le pratiche manageriali di stampo anglosassone e quelle italiane se così si possono definire.

Il Mito della Caverna di Platone

Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.

Immaginate di essere a Bologna, o qualsiasi altra città, fin dalla nascita e di aver lavorato solo ed esclusivamente in un’azienda locale dove si è sempre fatta una certa cosa in un certo modo, perché è sempre stato così e nessuno si è mai lamentato.

Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.

Immaginate che di tanto in tanto succedono delle cose in azienda che attirano la vostra attenzione e richiedono parte del vostro tempo per essere guardate, discusse, aggiustate o sistemate.

Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre “parlanti” come oggetti, animali, piante e persone reali.

Mentre la società di consulenza di turno ha visto qualche caso aziendale in più di voi, qualcuno anche di qualche azienda un po’ più cresciuta della vostra e anche qualche caso di successo, potrebbe intuire che il macchinario che si continua a rompere e che continuate ad aggiustare andrebbe sostituito con uno nuovo e molto più efficiente che è disponibile sul mercato, voi potreste invece pensare che sia normale che il macchinario si rompa e che vada aggiustato ogni volta costi quel che costi.

Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del sole ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.

Si supponga che a un certo punto il vostro capo vi dica, adesso fate quello che dice la società di consulenza, che prenda la vostra giornata lavorativa, quella che prima utilizzavate per produrre, e vi metta a fare file di excel e powerpoint di cui non capite nulla e che non sapete utilizzare dalle 9:00 alle 18:00. Dovreste a questo punto ritrovarvici già di più nella sensazione vissuta al paragrafo precedente.

Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.

Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto a smettere completamente di lavorare per assumere una posizione manageriale in cui fosse costretto a lavorare otto ore al giorno su piani di sviluppo e controllo di avanzamenti di progetti, nonché gestire personale poco interessato ad essere gestito, potrebbe trovarsi in difficoltà o a disagio.

Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell’acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che:

Con molto impegno e un po’ di aiuto, il nostro neo-manager riuscirebbe fin da subito a leggere, capire e aggiornare alcuni dati e nell’arco di un certo lasso di tempo riuscirà probabilmente a comprendere i dettagli del nuovo lavoro e a fornire anche un contributo al miglioramento delle pratiche manageriali fino a quel momento implementate.

«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.»

Il Mito della caverna in azienda

Ecco quindi che quando ci caliamo nella realtà di un’azienda, così come nel “mito della caverna” abbiamo vari tipi di pubblico:

  • Personale che necessità di un arricchimento della visione complessiva e delle competenze manageriali;
  • Personale interno o esterno con competenze e metodologie di lavoro non conosciute in azienda;
  • Personale coinvolto in processi di trasformazione aziendale che necessitano di apprendere nuove metodologie manageriali attraverso formazione o attraverso il lavoro su progetti.

In ambito lavorativo, ho personalmente notato che è difficile portare all’adozione di modelli manageriali interlocutori che non apprezzano il valore delle metodologie stesse. Il che ci riporta ad un conclusivo riferimento al mito della caverna: anche il sole che “produce le stagioni, gli anni, e governa tutte le cose del mondo visibile” può essere molto fastidioso.

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